Sofia Allegri Crespi, psicologa esperta in neuroscienze, ha scritto per noi un bell’articolo per farci riflette sulle abilità di comunicazione e le implicazioni a livello relazionale.
Comunicare è un atto naturale. Nasce per favorire le relazioni interpersonali, per esprimere se stessi ed i propri bisogni, desideri, obiettivi. Ma non sempre ci si riesce. Perché comunicare, a differenza del parlare, implica l’uso di numerose abilità. di Sofia Allegra Crespi, Esperta in neuroscienze Ricercatrice presso la facoltà di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele
Dante nel Convivio definisce il parlare come “l’atto del pronunziar parole con le quali trasmettere ad altri i concepimenti della mente in ordine anche a fini pratici, atto peculiare dell’uomo, unico essere vivente fornito di ragione: solamente l’uomo intra li animali parla…” (Dante Alighieri, Convivio, III VII 8). Parlare significa esprimere pensieri e sentimenti con la voce, per mezzo del linguaggio. Inteso in questo senso si tratta certamente di una capacità propria solo dell’uomo e che lo distingue da tutte le altre specie, che sono in grado di comunicare ma non di parlare. Questa capacità ci è permessa, a livello cerebrale, da una piccola porzione della corteccia frontale – l’area di Broca - che Paul Broca, neurochirurgo francese, individuò alla fine del 1800. L’atto del parlare però non va confuso con quello di comunicare che implica veicolare, e soprattutto preoccuparsi di far arrivare, un messaggio al destinatario scelto. Non solo con le parole, anche con gesti, sguardi, immagini,suoni ecc... Chi parla non sempre si preoccupa di chi ascolta; anzi la maggior parte delle “interazioni linguistiche” che abbiamo con gli altri sono risposte reattive a frasi o comportamenti altrui o sono commenti in risposta ad input provenienti dall’esterno che il nostro cervello elabora. L’essenza del comunicare sta invece proprio nel far capire a chi ascolta il nostro messaggio attraverso la comunicazione verbale ma anche attraverso il canale non verbale, che è importante e potente quanto le parole. L’assioma fondamentale di Paul Watzlawick, il fondatore della Scuola di Palo Alto, è che “noi non possiamo non comunicare”, ecco perché comunicare è il gesto costitutivo delle relazioni umane (Pragmatica della comunicazione umana, P. Watzlawick et al., 1978). Per veicolare efficacemente un messaggio io, che lo comunico, devo essere allineato al suo contenuto, devo condividere i valori che esprime, devo colorarlo con le emozioni che mi suscita e devo scegliere il canale giusto per trasmetterlo: devo mettere “in azione” la mia idea! Tutto ciò però forse non basta: per comunicare efficacemente l’idea il messaggio deve corrispondere alle mie intenzioni e io devo poterne immaginare le conseguenze rispetto a chi lo riceverà. Tutto ciò però ancora non basta perché l’atto di comunicare implica non solo esprimersi ma anche saper ascoltare, quindi implica la presenza dell’altro! Per comunicare efficacemente bisogna sapere instaurare un rapporto di empatia con chi ci ascolta. L’empatia è una componente cruciale dell’interazione sociale che coinvolge, prima di tutto, la consapevolezza di noi stessi e dell’altro (B.C. Bernhardt & T. Singer, 2012). Dobbiamo mettere in campo la capacità di condividere con l’altro i nostri pensieri e i nostri stati emotivi e quindi di comprendere i suoi. Se sono consapevole delle mie idee e delle mie emozioni riesco a farle arrivare “forte e chiaro” a chi mi ascolta, altrimenti il messaggio rimane “disincarnato” e ha meno valenza comunicativa. Avere una buona capacità di comunicazione, che abbiamo detto è ben diverso dal saper parlare, ci permette di esprimere le nostre idee, la nostra identità e i nostri valori perché è proprio mediante la libertà di espressione che noi ci sentiamo e affermiamo come individui liberi. Individui liberi di pensare e quindi anche di dire. La sensazione di riuscire ad esprimere le nostre idee, e di assumersene anche la responsabilità, è ciò che regala libertà al nostro pensiero e quindi a noi stessi. Implica esprimere la nostra libertà di idee e riconoscere quella altrui e questo rappresenta la base del processo di comprensione, del messaggio e dell’altro. Comunicare assertivamente implica allora la consapevolezza di sé ma anche la libertà di essere se stessi senza il timore di perdere il consenso e l’approvazione altrui. Ma come si fa a comunicare efficacemente? E’ una competenza che si può concretamente imparare? O è un’abilità di cui bisogna essere dotati? Secondo lo psicologo americano Howard Gardner, le neuroscienze suggeriscono che la capacità messa in campo da chi è particolarmente abile ad esprimersi corrisponde ad una buona miscela di due forme di intelligenza (Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento. H. Gardner, 2005). Quella che viene definita “intelligenza linguistico verbale”, caratteristica di poeti, scrittori, giornalisti ed avvocati (!), che è presieduta da un network/pool di aree cerebrali frontali tra le quali troviamo ancora l’Area di Broca, unita all’”intelligenza interpersonale”, propria di chi è abile nelle relazioni sociali. L’intelligenza è scritta nei geni di ciascuno di noi e dipende da molti fattori nel corso della vita ma certamente si può però apprendere e anche allenare. Oltre ad un allenamento mentale generico, la capacità di comunicare efficacemente dipende dal fatto di saper usare un linguaggio assertivo ed empatico così come di saper ascoltare in modo attivo, abilità che si insegnano, si sviluppano, si apprendono e migliorano.